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Il tango, arte e mistero
L'intervento di Horacio Ferrer al secondo Tano Tango Festival
in lingua italiana 
L'ARTE ESISTENZIALE
Il Tango è il più scelto fiore della cultura del Rio de
la Plata, per audacità, seduzione, autenticità e continuità.
Buenos Aires è il suo cuore ed il suo mistero, insieme con Montevideo,
nell'arco ampio, litigioso e fraterno, del rioplatense. Il Tango, cultura felice
e limpida che libera i suoi officianti da qualsiasi teoria sulla sua origine
nazionale. Ma il Tango è tutti i tanghi del mondo.
Arte del XIX, XX e XXI secolo, così come il Flamenco, suo altro fratello
d'epoche. Tango, Flamenco e Jazz, idiomi dell'esistenza a carne viva e piena,
tormentata e dei bassifondi, nei caffè, nei bordelli e nei cabaret. Questi
luoghi dove i loro creatori, maledetti e benedetti, fermano la storia quasi
senza saperlo e sono redenti, abbracciati alla loro opera nei bagni purificatori
della verità, della bellezza e dell'umano.
Il Tango è, per questo e fin dai suoi primi albori, arte mai ufficiale,
semiclandestina e anti-accademica. O meglio, accademica di una sua propria accademia,
con cattedratici che occupano i loro seggi in odore d'autorità inappellabilmente
discernibile attraverso l'inventiva estetica. Anche attraverso un'etica fenomenica
cui ripugnano i copioni ed il malcostume nazionale dei ladri, più o meno
ingegnosi, dell'altrui prestigio.
La parola Tango dà nome a delle arti musicali, poetiche, della danza
e vocali fondate sulla serissima arte del vivere veramente, nei labirinti urbani
ed esistenziali del nostro tempo.
Sessantamila opere composte, presentate, edite e registrate -il Tango è
tutto registrato in centodieci anni di fonografia di gran successo -sono l'esercizio
di stile e la passione di dieci generazioni di donne e uomini, cantanti e cantori,
arrangiatori e maestri orchestra, xx, ballerini, cantastorie e cronisti, pensatori
e musicologi, maestri di cerimonia dello spettacolo che è il Tango, collezionisti,
di ritagli di giornali, di documenti, film e dischi fino a quegli altri protagonisti
che sono come i "capofila" o i suscitatori d'atmosfere tanguere.
Il tango ha alcune notazioni metrico-ritmiche, modi e o formule strutturali.
Ma c'è qualcosa di più grande che l'avvolge e lo sospinge ad essere
l'anima coraggiosa e delicata di un clima dell'esistenza. Fatalmente, il Tango
ci riguarda, anche chi lo detesta, perché è espressione dell'esistenziale
universale (che è di tutti, in ogni tempo) nella grave discesa al fondo
della condizione umana con gli occhi che sono toccati a noi, che ci hanno corrisposto,
nella tombola, nel gioco dei possibili luoghi di questo mondo.
Il Tango è clima dell'esistenza che germoglia in verso, canto, respiro
di bandoneon e plastica di danza. Tango che risveglia il suo spirito, il suo
"duende", per prendere confidenza con la vita, con un bicchiere d'alcol
alla giusta distanza e con la luce adatta, che permette e propone il rituale
dei tanghi, ogni giorno, dopo ogni tramonto.
BUENOS
AIRES
Costruita sulla pampa argentina, sulla sponda occidentale del Rio de la Plata,
la B.A. del XXI secolo è città di smog e di stress. Occupa una
scacchiera irregolare di 14.000 isolati nella sua area metropolitana che, con
la periferia, forma un perimetro di venticinque chilometri di raggio per dodici
milioni di persone.
Buenos Aires area metropolitana è formata da 50 quartieri, tra il porto
e Linieres e da Nuova Pompei fino a Belgrano. Ogni quartiere con la sua storia,
le sue leggende, identità, poeti, cronisti, eroi, eroine e tanghi.
Sale di spettacolo e da ballo, teatro, cinema, caffè e caffè-concerto,
circhi, tangherie, cabaret, varietà, music-hall e spazi all'aperto per
l'arte, e in più musei e pinacoteche. Tutto in questa città, cui
dedichiamo libri e canti a migliaia, da "Fondazione mitologica di Buenos
Aires" di Romero e Jovés fino al tango "Buenos Aires"
di Romero o alle meditazioni di Ortega y Gasset e di Gomez de la Serna.
LA
CITTA' DEL TANGO
Tutto il tango rioplatense e universale sarebbe indecifrabile senza sua madre:
Buenos Aires. Bella, enigmatica, mutevole, a lume di candela e assolutamente,
definitivamente femminile.
C'è una B.A. consumata nel tempo dal porteno e dalla portena di ciascuna
delle sue epoche. E ce n'è, ogni giorno, un'altra, istantanea e verace,
per ognuno dei suoi vicini. È tanto essenziale la città mezza
inglese che discorre di fronte al negozio di Harrod's quanto la città
genovese-napoletana della Boca, quella francesizzata di Mataderos, quella molto
madrilena dell'Avenida de Mayo o la pseudo Manhattan con la sua piccola Wall
Street e la sua mini Brodway, che soffre e gioisce tra San Nicolas e Retiro.
Città quasi senza preistoria, senza forti né mura, né castelli
secolari né spiagge o montagne, è in profondità una città
in bassorilievo interiore, magnetica e terribile, che infonde al tango il suo
genius loci.
Quello che è il valzer per Vienna, è il tango per B. A., legame
sottile, profondo e nobilitato dalla sacra unzione della sponda coraggiosa,
al di sopra di un disdegnoso disprezzo: il Tango è stato il naufrago
dell'intellighenzia, della stampa e della politica culturale della sua stessa
città, aggrappandosi sempre all'altra riva della sua sopravvivenza.
Abbozzata nel 1536, distrutti i padroni di questa terra -aborigeni e belve-
nel 1542 e poi rifondata nel 1580, a Buenos Aires le imprime il suo sigillo
questo trittico delle sue gesta originarie: Nascere-Morire-Rinascere. Biblico
o cabalistico "3" del Padre-Figlio-Spirito Santo; dei tre Re Magi
di Betlemme; di padre, madre e figlio della famiglia umana. E se il porto della
città si chiama Santa Maria di Buenos Aires, patrona dei naviganti, lei,
la città stessa, è città della Santissima Trinità.
La circondano tre fianchi d'acqua, tutti e tre con le loro rive nella seduzione
del laccio della genesi tanghera: il Rio de la Plata, il Riachuelo de los Navios
e il fiumicello Maldonado.
Buenos Aires ha solo tre punti cardinali, nord, sud e ovest. Come se a levante
un gigantesco quartiere si fosse inabissato nel Rio de la Plata, fantasia idrografica
fatta di tre impossibilità scientifiche: non è un fiume, né
un estuario, né un mare. Buenos Aires, che sta sul 35° parallelo
sud di un suburbio del pianeta Terra, è un evento planetario.
Ci sono stati esegeti e storici che hanno dipinto la sua anima esclusivamente
come un grande magazzino aperto sulla riva occidentale del Plata. Magazzino
in cui si sono accumulati, in azzardoso e tumultuoso stivaggio, esseri umani,
stili di vita, modi d'amare un dio o un altro, modi di fare il pane, l'amore,
il commercio e le case. A scherno di cotanta puerilità, resta sempre
il tesoro verace della realtà metafisica: Buenos Aires è un'immemoriale
immanenza di ciò che è "pampeano". Argilla fine per
le mani, il talento e l'ispirazione della dea fantasiosa delle città.
Città finalmente salpata verso le correnti della storia a partire dalla
Conquista, per sottomettere al suo disegno el almacìgo revuelto l'animoso
assembramento di imbarcazioni arrivato dall'altro confine dei mari, più
ancora da quando è stata capitale del Viceregno del Rio de la Plata,
nel 1776, e dalla sua incoronazione sentimentale come la Parigi australe e capitale
dell'America Latina.
Officiando segreti poteri, Buenos Aires si sostanzia sempre meglio nei suoi
ganas de luna "desideri di luna": c'è una B.A. solare ed una
sublimata dalla notte. È fenicia durante il giorno ed è greca
nella sua interpretazione notturna. I suoi crepuscoli hanno pochissimo dell'epilogo
e molto dell'ouverture. Per questo il suo più velato figlio, il tango,
è uno spirito notturno, capofila di una ammucchiata d'abitanti di una
città chiamata Notte.
E il Tango va a dormire solo quando le gambe delle sedie all'in su, sui tavolini
dei bar, segnalano, nel calore dell'alba, l'espressione carezzevole e acquiescente
di Dio per i suoi portegni e portegne con cui è più in confidenza.
PORTEGNE
E PORTEGNI
La più remota prosapia dei "portenos" è formata da geni
indoamericani e sparuti geni spagnoli con negritudine e ebreitudine mescolate
tra loro, trasfuse nel bruno di creoli e creole y en lo original, épico
y pastoril del gauchaje. e nell'originale, epico e pastorale del "essere
gaucho".
L'abitante di B.A. è "portegno" perché il Karma della
sua città è portuale. Sono portegni anche quelli di Cadice e di
Valparaìso. E lo è perché attraverso le porte del porto
di B.A. arrivano le immancabili migrazioni. Prima quella africana, nell'obbrobrio
e nei lamenti della schiavitù, negri debolmente inseriti nel corpo sociale
e morti fino alla pazzia nelle avanguardie delle guerre civili: i singulti cantati
e i parches hanno un'eco che va spegnendosi solo nella vita quotidiana, negli
abiti e nelle arti portenas a differenza di Montevideo.
Già in pieno secolo XIX scuote a B.A. uno degli eventi migratori più
significativi ed ampi dell'umanità: centinaia di migliaia di spagnoli
ed italiani, di tutte le regioni; poi i turchi, i francesi, gli armeni, giapponesi,
tedeschi, gallesi, siriani, più tardi portoghesi, iugoslavi, boliviani,
cecoslovacchi; ancora più in là peruviani e coreani mettono radici,
tutti, a B.A. anelando la pace e illusi di una riuscita personale.
Un diluvio universale di stili nazionali, un babelico terremoto rintrona a B.A.
perché smetta d'essere Il Grande Villaggio con vocazione di megacittà.
Nel 1910, alla fine del XIX secolo, B.A. e popolata di più forestieri
che nativi, dopo venticinque anni di navi a vapore gremite di gente dalle fiancate
agli alberi maestri e ai comignoli, tempo, precisamente, della gestazione e
della apparizione del Tango.
Dunque, di nuovo gli storici e coloro che meditano, i pensatori, affrontano
la loro simpatica aritmetica. Sommano i due fatti e, senz'altro, concludono:
Il tango è un prodotto dell'immigrazione".
È chiaro che la vita ha più circonvoluzioni dell'orecchio e il
Tango, che porta la vita al suo interno, è lontano, ed è in salvo
dall'essere una somma, perché è un umile miracolo.
GENESI
NAZIONALE, CULTURALE E SOCIALE
Grandi città, millenariamente decantate, ospitali, piene di personalità
dal punto di vista del paesaggio e della cultura, accolgono lo straniero che
vi si radica, fino al lavoro ed al tetto ma non gli cambiano lo stile.
B.A. sì: rumeni o giapponesi, calabresi o andalusi avvertono il sottile
sopruso di questa città che doma il loro metabolismo con impercettibili
seduzioni. Esseri di idiomi e costumi consolidati si arrendono al sortilegio
del porteno. Col suo lunfardo, il suo mate, i suoi amichevoli copetines bicchierini,
le sue donne irresistibili, le sue notti bianche ed i suoi tanghi.
Se diventa portegna una parte degli immigranti, il figlio dell'immigrante è
ben poco che conserva dei suoi progenitori. Raul Scalabrini Ortiz lo precisa:
"Il figlio dell'immigrante che è, geneticamente, figlio di suo padre,
è culturalmente figlio della sua terra".
Immigranti convertiti al "porteno" nel contatto quotidiano con la
città che è strega: e i suoi figli, già portenos si accoppiano
con quelli dell'antico lignaggio bonaereense nel consumare la città e
le sue arti: il teatro, il cinema, la storiella, danze e canzoni popolaresche.
E più d'ogni cosa, il Tango.
Il questo modo, ai vecchi nomi creoli Querelo, Romero, Aragòn o Ramos
Mejìa, si mescolano Joves e Ferrer, catalani, Undarz e Urdapilleta, baschi,
Roccatagliata, D'Agostino, Canaro, Mafia, di diverse regioni d'Italia; Pollet
, Arolas e Laurenz, francesi; Bernstein, Philips, Thompson, sajones, nomi tutti
di Tanghisti della prima epoca.
In quest'ordine di ciò che desidera essere una cultura e avrebbe potuto
essere un caos, si plasma inoltre un arte insperata, inattesa: i le popolazioni
di B.A. e Montevideo, nella conca della Plata, fanno come il bambino che nella
xxx della vita cerca e trova il suo unico giocattolo possibile con pietre rami
e xxx nella solitudine di un cortile. Portenas e portenos del XIX secolo fanno
il loro Tango con quello che trovano, al tempo loro.
Che cosa c'è? C'è un idioma forte come derivazione differenziata
del casigliano nella poesia gaucho, dai cielitos di Bartolomè Hidalgo
fino al "Martin Fierro" di Josè Hernandez; c'è la poesia
spagnola e ispanoamericana con forme estrofiche italiane e ispano arabe. C'è
la poesia della città, gergale e di quartiere, aromatizzata di lunfardo,
il dialetto rioplatense. Ci sono i passatore, giullari creoli dal canto improvvisato
con la chitarra l'uno in sfida all'altro. C'è un humor letterario molto
cittadino nelle riviste politiche. Ci sono inizi di drammaturgia vernacola nei
circhi e nei varietà popolari.
Ci sono le trovas e le danze di campagna, zambas, trionfi, tristes, milonghe,
cifras, chacareras, tonadas, cielitos e milonghe. Ci sono le danze, lancero,
rigodòn, media cana, mazurche, polche e valzer. Ci sono habaneras e danze
cubane. Ci sono tanguillos e murgas e chirigotas di Cadice; i cuplés,
i chotis e i tanghi come habaneras delle zarzuelas ed il genere chico di Madrid.
C'è la classica armonia musicale europea in orchestre d'opera italiane
e orchestre di salon per suonare Verdi o Strauss.
E c'è, per tutto questo, una città che è nata devota allo
spettacolo e portata al ballo, alla vita notturna e alla baldoria.
L'essere dalle molte anime di questa B.A. così coraggiosamente costituita,
si serve di questa variata platea di arti che preesistono per l'avventura irreversibile
di intraprendere ciò che già vive nella sua antica anima pampeana
impregnata di fatalismo: il tango e il suo mistero.
L'anima di B.A. con le antenne drizzate da questa spinta irreprimibile che è
alla base di ogni opera artistica: l'imperiosa volontà d'esprimersi.
ORIGINI
E RESURREZIONI
Nell'aspetto
più genuino e inesorabile dell'espressione portena si armonizza, anche,
un altro repertorio di atmosfere estetiche propiziate dalla diversità
etnica e culturale costitutiva di B.A.. parlo di ciò che già c'era
nel mondo, in arti di altri paesi, come "tanguistico" molto, molto
prima che nel Rio de la Plata fosse stato composto il primo dei tanghi.
Si tratta della Bohemia, dei bassifondi, la sensualità ed il notturno.,
del sarcasmo e della follia visionaria, di alcuni paesi "cervanteschi",
della poesia di Suor Juana Inez de la Cruz, di certi poemi di Charles Baudelaire
, di musiche di Bach o di Chopin, o degli schizzi di Goya o dei dipinti di Lautrec.
È una specie di flottazione pretanghistica che profetizza il ritrovarsi,
creolo, del nostro quasi estremo sud.
Dopo che il Tango è già cresciuto, con creatori ed opere, lo arricchiscono
con variabili accordi d'influenze il genere teatrale grottesco italiano, il
modernismo francese e rubendariano, le romanze musicali francesi e italiane,
le "coplas" andaluse e il flamenco, l'ultraismo poetico spagnolo,
l'avanguardia musicale europea tra le due guerre della prima metà del
'900, il Jazz dal trenta al sessanta, la commedia musicale di Brodway, i versi
intimisti di Geraldy, i boleri di Cuba e del Messico, il chiasso estetico dei
Beatles. Tutto ciò con l'impegno di non imitare bensì adattare
queste ricchezze alle chiavi essenziali di B.A.,seguendo la traccia dei tangheri
augurali che interpretano ballando, suonando e cantando il genio della terra
che palpita sotto i loro piedi. Il Tango, cresciuto pieno di mondo, ritorna
pellegrino e seduttore a quello stesso mondo, con la grazia di gioire di nuove
origini come la sua B.A. che già, al suo primo apparire sul pianeta,
nasce, muore e resuscita.
GLI
ABITANTI DEI SOBBORGHI, I "BORGATARI" LOS ARRABALEROS.
Nella Buenos Aires del '900 che prova ed inventa il tango, una cosa è
il suburbio e altra è l'arrabal.. Il sobborgo è la sub-urbe, modesta,
povera e lavoratrice, lontano dal centro, i quartieri di Barracas, La Paternal
o Palermo, fortini portegni ben abitati secondo la morale del tempo. Sobborgo
è concetto urbano di insediamento, zone verso le quali si va o dalle
quali si viene.
L'arrabal fa scimunire la gente, è come una sorta d'atteggiamento o una
specie di febbre. Non ritratta tanto di un luogo quanto di uno stile di vita,
raccolto e crepuscolare, adatto a conservare i codici della minoranza "arrabalera"
nei confronti della morale stabilita e consacrata come buona e obbligatoria
per tutti gli altri.
Il pensatore e musicologo Carlos Vega ha detto degli "arrabaleros"
che fanno il Tango: "Io non elogio la condotta di questi animosi libertini;
ma l'arte non sceglie tra gli onesti, sceglie tra chi crea".
La notte ed il ballare nelle milonghe con il suo sottrarsi fisico e spirituale
al mandato delle norme morali prese da altre culture, è la protezione
clandestina e perfetta. Lontano da qualsiasi prepotenza etica ed estetica, sono
padroni delle loro anime e scialacquatori e dissipatori del loro talento.
A quelli che ballano nel naturale nascondersi del bordello, nessuno gli sta
a censurare l'audacia di abbracciarsi dalla guancia fino alla caviglia per ballare:
non c'è erotismo in questo abbraccio ma pura volontà d'arte e
puro giubilo creativo. La sensualità d'ogni coppia è artistica.
Ballando s'accoppiano e si disaccoppiano e fanno evoluzioni sulla pista creando
e disfacendo i passi ideati sulla marcia per fare luce sul ritrovamento, per
adornarlo senza fine, ogni coppia per essere la più elegante, la più
plastica, la più applaudita in questo torneo.
INVENTORI
DELLA DANZA
Chi sono questi borgatari, questi "atorrantes", ??? per chiamarli
come il lunfardo permette di designare gli officianti della vita bohemien?
Se lo stile umano "tango" può essere individuato già
verso il 1820, questi arrabaleros vengono fuori da cinque generazioni di artisti
anonimi fino al 1880. B.A. in quest'anno è dichiarata capitale dell'Argentina
e passa da grande villaggio a metropoli agli albori della pacificazione nazionale.
Da questo momento i tanghisti smettono d'essere ombre nella notte per conquistare
nome e cognome e essere specchio dell'intera società per i loro ruoli,
professioni o condizioni sociali.
Nelle case di tolleranza, nei piccoli locali da ballo, glorietas, pensioni o
postriboli ragazzi arrischiati officiano al loro rituale tanghero al braccio
di innominate bellezze o di leggendarie regine della notte, come "Mirella
la Bionda" o " Flora la Bruna": El Tarila, il negro Cotongo,
Aldana il bruno, compari eredi del gaucho venuto in città attraversando
il recinto dei campi, tutti ballerini ammirevoli. Gli attori Alippi, Muino e
Ducasse, anche loro maestri della danza, come i famosi Ricardo Guiraldes, notevole
narratore, e Jorge Newbery, precursore dell'aeronautica argentina.
Con loro, innamorandosi e misurandosi sulla destrezza dei passi, corridas, sentadas,
pataditas, cuatros e ochos, pasos cruzados, quebradas, giros, volteos e media
lunas, ballano studenti universitari, carrettieri, artigiani, macchinisti ferrovieri,
politici, prosseneti, giornalisti e gente di teatro.
Fondendosi nella stregoneria di una musica e di una danza nazionale propria
e di tutti, il Tango protegge un conato di accordo sociale ed un'armonizzazione
delle razze, di sensibilità, credi e partigianerie.
Qui recuperiamo due idee già precedentemente abbozzate: una, che nell'origine
musicale del tango non ci sono queste combinazioni di generi ma che essa è
invece opera del talento e del sentire di uomini e donne.
La seconda: che il Tango non è opera dell'immigrazione ma piuttosto una
bandiera davanti alla valanga dello shangai di lingue, dialetti, usi e costumi,
che s'è imposto come emblema di ciò che è nazionale. Gl'immigranti
apportano colori, tecniche e matrici, ma chi dipinge il quadro, il Tango, è
nato a Buenos Aires.
RITRATTO
ETICO
La prima origine quasi esoterica del tango sembra aver imposto codici di inalterata
vigenza per tangueros e tanghi. Il Tango sarà sempre arte e mestiere
della vita di boheme: non esistono tanghi "fabbricati" in editoriali
e registratori. E soprattutto, in ciò che la vita bohemien significa
come espressione d'indipendenza artistica e di esercizio della libertà,
tutto il tango, nell'essenza delle sue continue trasformazioni, è un
simbolo di libertà. Sarà proprio per questo che è stato
reticente nel legarsi alla ufficialità e sarà critico nei confronti
d'una società della quale è vocio notturno, anche se senza mai
proporre, non è la sua missione, tanto meno è ricetta per sostituire
un sistema sociale ad un altro.
Il Tango non verseggerà mai su temi politici di partito, pudore cui mai
s'è trasgredito in un secolo di testi nemmeno da parte di alcuni dei
suoi più superbi poeti, che sono stati uomini di militanza entusiasta
e di notoria militanza. Né operaio né aristocratico, né
sottoproletario né patrimonio della classe media né di un settore
sociale, il Tango recluterà i suoi artisti ed i suoi fedeli senza preconcetti
di classe o di generazione: in ogni epoca le sue orchestre sono state un'alleanza
di generazioni e da una diecina d'anni sono formate indistintamente da elementi
maschili e femminili.
Per essere, infine, a causa della sua origine e del suo destino, arte popolare
in modo definitivo, il tango non sarà mai "arte di massa",
perché è innanzi tutto arte di "cappella", di piccoli
gruppi, che a volte rivaleggiano fortemente tra loro, ma innumerevoli piccoli
gruppi che, insieme, hanno dato a volte la sensazione, solo la sensazione, d'essere
moltitudine.
Credo d'aver percepito, ballando, che l'unica occasione in cui una moltitudine
ha un'attitudine d'"intimità" è nei grandi balli tangueros.
Ogni coppia immedesimata nel suo discorso di ballo prende dalla folla ciò
che di essa è più caratteristico: l'uniformità e l'anonimato.
Ogni coppia è differente e sono, sempre, Pedro e Rosa, Adriana e Giovanni.
Il Tango non è arte di massa perché è, sicuramente, l'arte
della moltitudine dismoltiplicata nella fortunata solitudine della coppia umana.
LA
CONFRATERNITA DEI TANGUEROS.
A immagine e somiglianza dei gruppi segreti di "arrabaleros" dei sec.
XIX e XX, la creatura del Tango, musicista, amatore, ballerino cantante o poeta
o predatore, è creatura di confraternita. La confraternita tre valori
cari all'uomo di Tango: il Tango è più bello appassionante in
compagnia; la compagnia ha come valore implicito l'amicizia e l'amore e tutto
ciò predispone ad ascoltare il tango come Dio comanda. Il silenzio, sfumato
d'emozioni, la luce e la distanza sono propizi per un'arte che è più
amata per le confidenze che per le urla. Con i Tanghi già ascoltati per
ascoltare, la vita colmata di Tango. Chiacchierare e polemizzare fino all'imbarazzo,
rifletterci su, commuoversi fino a piangere, analizzare testi e musica, assolo
strumentali,; custodire con memoria prodigiosa melodie, versioni, titoli, leggende,
autori, aneddoti, arrangiamenti, libri, biografie, discografie. Fare, arricchire
e custodire collezioni particolari di dischi con diecine di migliaia di registrazioni,
archivi di edizioni di tanghi per pianoforte, o per piano e canto di centocinquant'anni,
ritagli di giornali e di riviste, fotografie, film, documenti e manoscritti
originali in monumenti d'amore e varietà di pezzi che que empatan con
tangos lo que gozan de pinturas sono alla pari in tanghi con il Prado e l'Hermitage
quanto a dipinti.
L'essere tanguero è cosa incomprensibile per chi non lo è e riguarda
tanto la seduzione del tango quanto allo stile passionale che ci è proprio.
Il formidabile compositore portegno Joaquìn Mora in una lettera che mi
scriveva dal Centroamerica nel '60, mise a punto questo ritratto impeccabile
di che cos'è "essere tanghero": " il Tango -mi diceva
Mora- è per me come una seconda natura".
Rituale del Tango e dei tangheri che nel fervore della buonasorte si fa anche
enigmatico quando ci accorgiamo che nella stessa cerimonia riunisce fedeli e
detrattori: gli enormi franchi tiratori antitanghisti di un secolo di controversie,
insulti e discredito pubblico, come Leopoldo Lugones o Jorge Luis Borges, non
sono fuori da questo rituale ma anzi ci sono totalmente dentro: "Nessuno
sa, dice Borges, in una registrazione eseguita negli USA- come mi emozionano
fino alle lacrime questi tanghi che aborrisco".
CARATTERE
Il carattere del tango non è anteriore a quello del popolo che lo ha
tenuto in gestazione ma è invece, nel bene e nel male, un'eco del carattere
del nostro popolo.
In ogni caso il portegno, tendente alla depressione ed alla melanconia, non
gradisce essere preso di sorpresa e che gli vedano l'anima nuda e senza il maquillage
della facezia.
Il tango è un album di foto e di tomografie frugano nei più reconditi
inganni, contraddizioni, fughe, insuccessi e illusioni crollate aspettano ad
un angolo di strada con un pomodoro sul bavero invece del garofano.
Dice Claudio Segovia, creatore del musical di successo Tango Argentino: "
In Argentina si vive il Tango come una colpa".
Ma il Tango non è una colpa, malgrado contenga le confessioni delle colpe
che frustano la coscienza dei suoi agonisti, interamente libero di essere un'officina
di gemiti e rimostranze perché non è una fabbrica di niente altro
se non d'un'arte delicata e profonda. Lo scultore Libero Badii ha detto che
" man mano che ci sprofondiamo nell'esistenza ci incontriamo con gli aspetti
napas sinistri dell'umano ed i suoi strani chiaroscuri".
Da sempre il portegno suole proporre come modello da imitare l'arte musicale
e poetica del brasile in contrapposizione al tango, perché è più
allegro, ignora che "choro" in portoghese vuol dire pianto e che il
bellissimo Chorinho nasce su ispirazione del tango di Buenos Aires così
come i superbi tanghi carioca di Ernesto Nazareth e che la canzone dell'"Orfeo
negro" di Vinicus de Moraes e Antonio Jobim, canta: "tristezza no
tem fin, felicidade sì". Dico qui, di passaggio, che la tristezza
è uno stato alto della dignità umana.
Il tango sì, è triste, malinconico e serio, a volte scherzoso,
ironico, fa il ritratto di tutto, come la vita. Il tango accumula i gironi successivi
d'una sorta di commedia umana in cui Beatrice è Buenos Aires e il Tango
è fatalmente dantesco. Ha sempre preferito stare vicino alla ferita che
all'atleta. La sua allegria è quella che sente chi si mette a suonarlo
e a cantarlo, è il giubilo di quelli che lo vanno a ballare, è
la pienezza di chi in una pausa dell'andare, porge l'orecchio ad ascoltarlo
o la contentezza d'un attore che ha il privilegio di fare Amleto.
LA
MUSICA
Non c'è niente di ibrido nel Tango, che entra risolutamente nel mondo
delle arti con prepotenza calderoniana. In un epoca, il 1900, senza radio né
tivù né laser né internet manda un repertorio di qualcosa
come duecento opere, riesce a creare una sua propria orchestrazione in dieci
anni, incorona venti star adorate dal pubblico e con la rivelazione di una plastica
di danza sconosciuta, invia tutto questo nelle capitali universali della cultura
per misurarsi senza ridurre l'originalità né la lussureggiante
inventiva. E di passaggio, facendosi proibire dagli eserciti di tutt'Europa
e obbligando un Papa a riabilitarlo davanti al mondo dal Vaticano, per lo scandalo
della società portegna.
È che il Tango non riconosce altra paternità musicale se non l'ingegno
dei propri compositori, maestri intuitivi che hanno orecchie dei loro cuori
drizzate e pronte a percepire, antennare, la vita intorno, per strappare la
pepita all'essenziale e trasformarlo così com'è in arte della
musica. Arte che non è figlia ma piuttosto chiaramente sorella di altre
musiche della stessa epoca, habanera, chotis, polca, mazurca o milonga, specie
con le quali il tango rivaleggia e a cui si sovrappone con un lungo secolo d'evoluzione
estetica e stilistica e con questa capacità di follia per scoprire il
nuovo che è necessità in qualunque arte umile e grande per non
restare appiccicata alle cartoline d'un'epoca che solo la nostalgia redime.
Questo e buon classicismo, pasta per modellare arde nel Choclo, El entrerriano,
Don Juan, Las siete palabras, Unión Cívica y Joaquina, tanghi
dell'alba dei tanghi e reverenzialmente tangheri come quelli di più di
mezzo secolo dopo, Boedo, La yumba, Adios Nonino, Responso, Melancólico,
La bordona, Che Buenos Aires o A fuego lento tutti, questi e quelli, voce dell'uomo
del XX e XXI secolo.
LE
ORCHESTRE E I LORO VOLI
Il tango nasce,
cresce e perdura come esercizio di libertà immaginativa vivente e non
sopravvivente, perché il Tango è arte attuale e non è folklore
né si trova in condizioni folklorizzate né nella musica poesia,
canto o danza, Il tango è congenere della musica di Gershwin e di Lecuona,
della poesia di Guillén o di Serrat e delle canzoni di Bing Crosby e
Charles Aznavour, e delle coreografíe di Gene Kelly o di Maurice Béjart.
In rapide e sicure riforme nell'abbinamento dei sui strumenti i musicisti mettono
a punto l'Orchestra Tipica, che avrebbe potuto essere europea per l'origine
di questi strumenti ed è invece, senza dubbio, assoluta invenzione tanguera.:
fila di banboneones, corde al completo, fiati e flauti, clarinetto, percussioni,
chitarra, vibrafono, a secondo del sapore degli stili.
La formula ritmica del tango iniziale, croma con puntino, semicroma e due crome,
perde il puntino e con esso cancella (resterà solo nelle milonghe) l'influsso
afro. Lascia dunque il passo ad un movimento uniforme di crome, di cui è
un modello "La Cumparsita" con tempo rubato, varietà si sincopati
e di divisi più una scrittura orchestrale ascendente dai cabaret, dalle
sale e radio, dischi e teatri, il tango si propone come musica da camera con
De Caro, Troilo, Pugliese, Di Sarli, Salgán, Piazzolla, Piro e Garello.
Il Tango non sarà mai polifonia improvvisata come ce n'è nel Jazz
ma alcontarrio sempre musica composta in precedenza, orchestrata ed arrangiata
con a solo, tutis,?? passaggi di fughe e di contrappunto.
Ma l'essenziale del tango si suona e si suonerà sempre con ciò
che non è scritto negli spartiti.
Anche sviluppato ed elaborato in forma di suites, di concerto, oratorio, cantata
o di opera, cantato con chitarre, con a solo di piano, nelle grandi sale da
concerto del mondo o nei piccoli caffè e bar di quartiere, il tango è la musica classica del Rio de la Plata.
LA
POESIA
Così come ci sono attitudini, animi, città o culture che sono
poetiche, il Tango è poetico nella sua idea d'insieme. Ma ha anche un
suo lirismo poetico fatto di parole dicibili e cantabili, con poeti e con opere,
idiomi e prosodia particolari, saghe e personaggi, temi ed argomenti, epoche,
estetiche e stili, con il loro repertorio, il più numeroso di qualunque
altro tipo di canzone.
L'amore, prima di tutto l'Amore, e soprattutto l'amore difficile nel labirinto
della città intricata, è alla testa dei temi del Tango, ossessionato
sempre dall'esistenziale: Prima di tutto bisogna saper soffrire/poi amare, poi
partire/ e infine andare senza pensarci, come canta Homero Esposito in "Naranjo
en flor".
Poi il tempo che scorre nella città mutante con la sua opera rovinosa:
Sentire che è un sospiro la vita/che vent'anni sono niente
canta
Alfredo la Pera in "Volver". Fatto di polvere e tempo l'uomo dura
meno della leggera melodia che solo è tempo intona Jorge Luis Borges
nel suo poema "Il Tango".
Il tempo e la sua conseguenza finale, la morte: perché il tango è
coraggioso/ perché il tango è forte,/ odora di vita/ ha gusto
di morte, come canta Celidonio Flores in "Perché canto così".
Dio, il bene e il male, il destino e le incognite di essere al mondo: Sento
che la mia fede vacilla/ che la gente cattiva vive, mio dio, meglio di me, canta
Discepolo in "tormenta". E Eladia Blazquez "Sueno de barilete":
cercando di spiegarmi che la vita/ è qualcosa di più di un semplice
piatto di minestra.
Dopo vi sono i temi della città, i suoi quartieri, i suoi personaggi
ed i ritratti dello stesso tango e del suo bandoneon, a cui Catulo Castello
dice, in "La ultima curda": Che peccato bandoneon cuore mio/ la tua
rauca maledizione maligna./ la tua lacrima di rhum mi porta fino al profondo
bassofondo dove il fango si solleva/ già lo so, non me lo dire, hai ragione!/
la vita è una ferita assurda,/ e tutto, tutto è talmente fugace,/
che è una curda e nient'altro la mia confessione.
Temi familiari e sociali: poiché non c'è padre, la madre è
l'ultimo porto a cui si fa ritorno dall'amore, dal tempo e dal destino; e gli
amanti. Perché il tango non ha marito o moglie e la famiglia sono gli
amici del cantiere o del quartiere, il lavoro è sfruttamento con il conventillo
come focolare; la prostituzione con il cabaret come svago e la boheme come stile
di vita e per nido il bulin.
Sul piano dell'estetica ci sono due pilastri nella poesia gauchesca e nel faro
di Ruben Dario ed il modernismo, con modulazioni tra il romanticismo, il grottesco
ed il surrealismo. Canta Homero Manzi in "Discepolin": Alla fine,
di chi è la colpa della mia grottesca vita/ e dell'anima macchiata di
sangue di carminio?
è meglio andarsene prima che faccia giorno/
prima di mettersi a piangere, vecchio Discepolin.
Oppure il bar surreale con l'alcol che si mette a delirare nelle bottiglie per
causa del bravo compagno che non è tornato più: Per la tua assenza
nell'osteria/ è cambiato al bancone il sapore delle bevute canta Mario
Battistella in "Non mollare".
O la follia portegna che c'è nei racconti di Roberto Arlt ed io stesso
canto così nei miei tanghi:"
sull'abisso del tuo fino a sentire
/ che il tuo cuore l'ho fatto impazzire di libertà,/ và, va a
vedere!.
Pensa Gomez de la Serna: " Il testo dei tanghi è figlio degli aedi
dell'audacia, mescolando sentimenti contrastanti nobilitati dalla disillusione.
Il tango mischia tutto in uno stile telegrafico, nel racconto offeso di chi
rende una dichiarazione con la lama conficcata nell'anima: " io voglio
morire con me, senza confessione e senza dio, / crocifisso alla mia pena, /
abbracciato al rancore dice Antonio Podestà.
PARLARE
IN MUSICA
Arte obliqua e arte della mezzanotte, nel Tango non hanno posto le grida perché
il suo destino è proprio esprimere il lato confidenziale dell'esistenza.
Parole fraseggiate nella seduzione di un mormorio all'orecchio di lei, o degli
amici, sia pure per dire quel che è più doloroso: " In me
stesso mi sono perduto / cieco di piangere una illusione."
Il Tango si canta ed esprime tra quello che si dice e quello che si riserva
per qualcuno, facendo sempre tesoro delle matrici sonore copiate dalle matrici
del vivere: non è verso di godere appieno una grande gioia senza aver
anche molto sofferto.
En las entonaciones vocales llegan al cantar de los tangos de nueve décadas,
sabores del canto pampeano y urguayo de los estilos y las milongas. Nelle intonazioni
della voce arrivano, da novanta anni di tanghi cantati, sapori di canti della
pampa e uruguayani de los estilos e di milonga . E sentiamo, solo nella tecnica,
chiarissime influenze della lirica italiana d'ascendenza operistica.
Non c'è niente d'afro o d'indigeno nel canto tanghero, mentre c'è
una segreta affinità nell'espressione con le arti mediterranee, del sud
della Spagna e dell'Italia e del Nordafrica moresco, né fanno testimonianza
i "rulos" che sono la delizia melodica di Carlitos Gardel (un gruppetto
di note per cantare una sola sillaba) e sembrano apparentati con i melismi orientali
che si riverberano dal fondo dei millenni nelle gole del cante flamenco.
C'è un termine del nostro lunfardo per definire l'espressione nel Tango:
il "chamuyo", sussurro modulato di decibel e d'intenzioni, cortesia
di tono per aumentare l'intimità tra gli uomini. Chamuyo del canto sulla
soglia del labbro con la sua arte poetica e la sua melodia nell'enorme sensualità
del godimento di parlar con musica di chi sta cantando, scherzando e ferendosi.
Chi canta non canta l'esperienza di un altro che è l'autore, ma canta
la sua personale sofferenza o la sua propria speranza. Il cantante di tango
è come un attore in un tinglado che chi l'ascolta immagina ed egli è
presente e occupa la scena con autorità durante un dramma di tre minuti.
Il chamuyo, il sussurro del canto circola imperioso attraverso corpi e sguardi
della coppia che danza il tango nella penombra, sussurro di bandonèon
traslitterando l'infarto con musica, sussurro che è come la cariatide
che sorregge l'estetica del tango intero.
Arte e mistero del tango, spirito avanguardista e umido del Rio della Plata,
divoratore di mondo, che riannoda le sue traversie più gravi sotto lo
sguardo delirante, notturna e dorata della Città della Santissima Trinità.
Vi ringrazio moltissimo
Credo d'Amore in Tango
Mi domandi, amor mio, piccola
mia,
che cos'è il Tango,
e io, spirito dell'asfalto, ti dico:
Credo che tango è
questo,
che fa spuntare un garofano sul mio bavero,
quando non ho niente per garofano,
e vengo a vederti.
In alto nelle stazioni del treno,
una colomba muore
per questo solo, che un poco si muore
aspettando chi non arrivò.
Credo che questo è Tango,cara.
E è tanghista il gatto vagabondo
Che prende in giro la zitellona,
però non l'abbandona mai.
E è tango il campanello che suona e suona
in una casa vuota,
e anche c'è Tango negli occhi
di quello che ha suonato e se ne va, e se ne va
portandosi dentro l'assenza.
Credo che è tango
quest'ora azzurra
in cui le domeniche finiscono d'albeggiare
e si fan pesanti i lunedì.
E questi cuorcontenti senza motivo, hai visto?
pezzettini d'oro
nelle profondità della vita,
son Tango.
E è Tango un viso che non riflettono
gli specchi dei caffè.
E è di tango il suono
della pioggia sulla finestra,
quando la finestra la tengono in piedi solo
i nostri sguardi, amor mio.
Credo che il Tango è
un naufrago nella città,
però il naufrago con più fiato.
E canta Tango il buco della mia scarpa,
ojo de presa sì, per tutte le vie
che conservano i tuoi passi, cara.
E è Tango la modesta
tavola familiare che preparava Mamma
apparecchiata alla buona con la biancheria pulita,
facendola più bianca ancora
con gli argomenti del suo cuore corazon coraggio?
Credo che Tango è
quest'abbraccio che ci siamo dati
senza sapere se era l'ultimo.
E è Tango la malinconia
dei vecchietti che destejen
le loro vite nelle piazze.
E è tango l'aurora,
però pullulante di fantasmi.
E è Tango una frenesia di clacson
all'imbrunire, quando non mi trovi,
e continui a cercarmi, amor mio.
Uguale all'amore,
come meglio si vive e si sente il Tango
è a meno di dieci metri
o a più di diecimila chilometri di distanza.
Il Tango canta col suo bandonèon,
questo passero wagneriano
deviò il suo biglietto di ritorno in Germania
perché ebbe il presentimento che a Buenos Aires
stava per nascere Pichuco.
Suono il bandonèon sui bottoni della tua blusa
e in cielo ballano il Tango.
Tango è qualcosa
che sibila fischia? nella notte
e che non sta in nessun repertorio.
E è Tango la danza
che esalerà il suo sospiro estremo
con la ultima galanteria.
E credo che è Tango
qualunque accenno di ninna-nanna
nel giorno finale.
Però ora che il tuo
viso adorato
si trasforma in rosa della memoria,
di questo solo sono sicuro, che Tango
è come dire: Ti amo, ti amo,
amata mia, però mio Dio, come ti amo,
ti amo, ti amo.
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